Raccontare Fabio Quagliarella
Tutto quello che ho imparato, qualche ringraziamento e, soprattutto, le emozioni di aver realizzato un documentario sul capocannoniere della stagione 2018–2019, prodotto da SENT Entertainment, con la regia di Giuseppe Garau
«A me sembra giusto, scusate. State investendo su di me, sulla mia storia. Il minimo che possa fare è aiutarvi».
Sulla passeggiata di Nervi, con il mare davanti a noi, cercando la luce giusta per l’inquadratura necessaria a quella scena, Fabio Quagliarella indossa una felpa grigia della Nike e sembra un attore consumato.
Sono le 20 passate e il capitano della Sampdoria è circondato da una dozzina di persone.
Sono le ragazze e i ragazzi che compongono la crew che sta girando un documentario su di lui, sulla sua storia, sulla sua carriera. Tra una scena e l’altra tifosi che si fermano: chi per una foto, chi soltanto per un cenno di intesa. Tutti accomunati da ammirazione sincera.
Lì capisco che Fabio è davvero un giocatore universale, per tutti, di tutti. Un giocatore e una persona non banali.
Non è una storia qualsiasi la sua. Quagliarella non è il solito calciatore, non è quello che ti aspetti dal suo ruolo e dalla sua carriera. Perché la sua vita ha un arco narrativo incredibile, che intreccia giocate pazzesche in campo, l’affetto della gente e una brutta, bruttissima vicenda di stalking.
Una storia che gli ha cambiato non solo la vita professionale, ma anche anche il rapporto con le persone.
«Solo ora ho iniziato a ricominciare a fidarmi di qualcuno che non fa parte della mia famiglia», mi ha confidato seduto nella pancia del Marassi mentre aspettavamo di girare un’altra scena.
Ed è proprio in quel momento che ho capito quanto fosse speciale il momento che stavamo vivendo.
Perché essere vittima di uno stalker, di uno che ti manda tutti i giorni lettere anonime, minacce, fotomontaggi, ti cambia la percezione, la prospettiva. Chiudersi in se stessi è la cosa più naturale che puoi fare.
E, infatti, ha fatto così anche Quagliarella.
Abbiamo registrato 6 ore di intervista, solo con lui. Perché avevo bisogno di tempo, perché lui aveva bisogno di tempo per aprirsi e per riconoscere certe ombre.
Abbiamo diviso per capitoli i nostri incontri: gli esordi, l’uomo, la carriera, la famiglia, gli amici. Siamo arrivati allo stalking alla fine. Ricordo i silenzi i quell’intervista, la voce che prova a non tradire un’emozione che c’è ancora oggi.
«Una cicatrice che è rimarginata, ma che continuo a vedere».
Lo scopo di questo lungo post è cercare di raccontare come ho vissuto questa esperienza; come sono stati questi mesi di preparazione e di interviste. Quali le difficoltà e quali, invece, i momenti di condivisione e soddisfazione.
Prima di ogni altra parola, però, desidero ringraziare il regista Giuseppe Garau e il produttore Mirwan Suwarso di SENT Entertainment che ha sempre creduto in noi, in me.
Non ci sono solo loro, naturalmente, nel mio cuore. E non è solo grazie a loro che questo documentario sta prendendo forma. Dietro la macchina da presa, come si dice in questi casi, hanno lavorato donne e uomini che si sono uniti alla mia visione ed a quella di Giuseppe e che — insieme — hanno fatto di tutto per metterci nelle condizioni migliori per poterla rappresentare.
Perché poter arrivare davanti a Quagliarella, ai suoi familiari, ai suoi amici e farsi consegnare la propria storia da custodire, potendo restare concentrati solo sulle domande, sul cogliere le sfumature, sull’unire i puntini, ti consente di apprezzare il lavoro da autore nella sua purezza e nella sua potenza.
Nelle prossime righe, allora, parlerò dei primi contatti con Fabio e la Sampdoria; della scelta registica di registrare con Quagliarella solo degli audio; della sua disponibilità nel recitare, di come ho trattato l’argomento stalking e di tutto l’impianto narrativo.
La prima volta
Quando ho incontrato Fabio per la prima volta, ci siamo studiati. Voleva capire che cosa volessimo fare, quale fosse l’idea formale del progetto, che tipo di taglio volessimo dare al nostro lavoro.
Ricordo Nicoletta Sommella, Marketing Manager della Sampdoria — un’altra professionista straordinaria — che ci ha accolto e fatto da tramite. Che ha avuto la lungimiranza di proporre ad un calciatore come Quagliarella un modo di raccontarlo diverso dal solito.
«Fabio, più ci dai, più noi riusciamo a restituire a chi guarda quello che sei, come calciatore e come ragazzo. Soprattutto: più in profondità andiamo nella tua storia, stalking compreso, più il lavoro risulta autentico, vero. Un film, insomma».
In quella stanza a Bogliasco, dove si allena la Sampdoria, Giuseppe Garau, Pietro Pisano, Luca De Angelis di 20 Red Lights ed io abbiamo provato a convincere quello che sarebbe stato il capocannoniere della stagione 2018–2019 a mettersi a nudo.
A farlo con delle interviste, con delle scene, chiedendo una disponibilità che ci ha sorpreso ed entusiasmato. Gli abbiamo chiesto di coinvolgere i suoi genitori, i suoi fratelli, amici di infanzia, giornalisti, avvocati, allenatori e calciatori come Alessandro Del Piero, Leonardo Bonucci, Simone Pepe, Giorgio Chiellini, Andrea Barzagli, Jacopo Sala, Marco Giampaolo, Angelo Palombo, Massimiliano Allegri, Paolo Condò, Giacomo Ferri.
Gli abbiamo chiesto di essere attivo, di partecipare, di andare oltre i cliché de “la squadra ha giocato bene, se segno è merito dei compagni”. E Fabio ha dimostrato un’intelligenza e una lungimiranza rara.
D’accordo con Mirwan Suwarso, gli abbiamo anche mostrato questo trattamento creato e montato da Giuseppe.
Come si vede, sono suggestioni, idee. Ma sono state importanti per far capire al giocatore, all’entourage, alla Samp che tipo di lavoro si voleva fare. E che tipo di disponibilità stavamo chiedendo.
Sono tanti anni ormai che lavoro nel mondo dello sport, con ruoli diversi. Sono tanti anni che mi confronto con una sorta di doppia barriera. La prima, quella più evidente, è composta da una pletora di faccendieri, tuttofare, persone che vogliono stare “vicino” al giocatore, all’atleta, per poter vivere con lui i suoi privilegi e — diciamolo pure apertamente — i suoi soldi.
Se non tutti, almeno un po’.
Sono estranei, si potrebbe pensare. Che ci vuole? Basta scavalcarli e andare direttamente al nucleo. Questo è l’errore che si fa più spesso. Che ho fatto anche io tante volte.
La seconda barriera da superare è composta dalla società. Che vuole tutelare il proprio calciatore e ne vuole controllare in maniera diretta o indiretta la comunicazione. «Questo lo può fare, questo no. Questo lo può dire, questo no. Oggi può dedicarvi solo 10 minuti».
Per Fabio Quagliarella e per la Sampdoria queste due barriere, semplicemente, non sono mai esistite.
Merito del grandissimo lavoro di Nicoletta Sommella, su tutti. Ma anche di un Ufficio Stampa che ha organizzato al meglio la nostra presenza per il Derby e per Sampdoria-Juventus.
Una volta convinti tutti, una volta entrati in casa Quagliarella si arriva a un’altra domanda: come raccontare? E cosa?
Partiamo dal come
Lavorare con una storia che viene celebrata almeno una volta a settimana da tutti i media del mondo è molto diverso rispetto all’esperienza di UNA STORIA SEMPLICE.
La prima cosa di cui abbiamo parlato con Giuseppe è stato proprio questo: trovare un modo nuovo, originale e attraente per mettere in scena Fabio Quagliarella. Trovare un pattern, restituire una tridimensionalità narrativa e visiva in grado di acchiappare chi guarda dall’inizio alla fine. Anche perché la grammatica del racconto di un calciatore è per noi tutti una cosa abituale: ci aspettiamo, cioè, di vederlo in 4–5 situazioni standard, da TV.
Per fare uno scatto in avanti serviva un’intuizione diversa.Giuseppe ha proposto di realizzare le interviste solo audio con Fabio. Un po’ come è successo per Amy o per Maradona di Asif Kapadia.
L’idea è stata quella di utilizzare la voce come ulteriore personaggio, di creare un patto con lo spettatore:
noi cerchiamo di essere il meno didascalici possibili, cerchiamo di scavare e, perché no, di farti immaginare anche ciò che non si vede subito; tu, spettatore, in cambio avrai una visione completa, intima, inedita.
In mezzo, l’impegno di tutti per mettere insieme le cose in un racconto coerente in cui anche il sound design e la musica conducono, aiutano, sorreggono la narrazione.
Ogni intervista, soprattutto quelle con Fabio, ha cercato di seguire questa strategia, questa idea formale. E qui, ora arriviamo al cosa.
Che cosa?
Quella che vedete qui sopra è una mappa concettuale, uno schema narrativo. Dopo aver parlato con Quagliarella sono venute fuori le diverse sfaccettature della sua storia e, insieme a quelle, le persone da intervistare.
Famiglia, amici, colleghi, allenatori. La rubrica di Fabio si è aperta e, insieme a lui, abbiamo scelto chi poteva darci qualcosa in più. Ed è qui che è successa un’altra cosa incredibile: grandi calciatori, campioni del mondo, giornalisti che votano per il Pallone d’Oro: tutti, nel sentire il nome Fabio Quagliarella si sono resi disponibili prima di subito.
Con entusiasmo e, senza saperlo, in modo totale, spontaneo, naturale.
Proprio come è Fabio.
Mettere giù questo calendario, dunque, è stato più semplice del previsto.
Le interviste
Tutte le interviste che ho fatto mi hanno lasciato qualcosa. Tutte le persone che si sono sedute davanti a me hanno dato un pezzettino di se stessi per aiutarci a raccontare Fabio l’amico, Fabio il collega, Fabio il figlio, fratello, calciatore (grazie soprattutto — ma non solo — per questa parte Luciano Cremona). Fabio la vittima innocente. Fabio e il suo riscatto.
La sessione più intensa emotivamente, se proprio devo sceglierne una, è stata quella con Vittorio, il padre di Fabio. Perché lui quella storia l’ha vissuta in prima persona, perché da papà ha rischiato di impazzire per capire chi fosse, non si dava pace; perché proprio l’istinto paterno gli ha fatto fare uno scatto in avanti e arrivare prima di tutti alla conclusione che “il fetente” era proprio Raffaele Piccolo.
Quando abbiamo affrontato questo argomento sul set è calato un silenzio irreale.
Il suo sguardo — che è poi quello di Fabio, solo un po’ più ingrigito — mi ha colpito moltissimo.
Ho capito, stando tanto con la sua famiglia, perché Quagliarella è così amato da tutti: perché è un ragazzo di 36 anni che adora la sua famiglia, in cui è facile immedesimarsi. Quindi, quando ascolti di Piccolo, non puoi non arrabbiarti, non puoi non domandarti perché, non puoi non provare a capire.
È impossibile non provare empatia. Impossibile.
Quagliarella, l’attore
Per spiegare questo capitolo, basterebbero le foto. La disponibilità di Fabio ha fatto la differenza. A Genova, a Ponte di Legno, in campo. Sempre. Fabio non solo si è prestato, seguendo tutte le esigenze registiche, ma voleva sapere. Voleva capire. Più volte ha rivisto le scene con Giuseppe e più volte ha voluto rifare un take in più «per stare tranquilli, guagliò». Non so per quante ore abbiamo girato scene di finzione, dovrei tirarle fuori dagli oltre 2 Terabyte di immagini. Sono tante, tantissime. E non sono per niente usuali.
La regia e il montaggio
a cura di Giuseppe Garau
Fare la regia di un documentario come questo, se si lavora con un professionista come Goffredo, è un privilegio. Bisogna saper fare un passo indietro e rendersi conto che il cuore del film è in mano all’autore.
Le interviste sono l’anima di un lavoro come questo: in quegli scambi tra l’autore e l’intervistato, in ogni singola parola pronunciata si definisce di cosa tratterà la storia.
Il compito del regista, poi, è saper rendere giustizia a quel materiale.
Io e la troupe abbiamo assistito da spettatori agli scambi costruiti da Goffredo, ogni volta che si è seduto davanti a qualcuno ci è arrivato con una lunga e meticolosa preparazione e ha sempre saputo condurre le danze con una giusta dose di empatia e discrezione.
Non sono poche le volte che tutti ci siamo emozionati mentre queste interviste andavano in scena. E non sono state poche le volte in cui qualcosa di magico è accaduto: guardi il monitor, ascolti le parole, e capisci subito che quelle sillabe, quell’istante, finirà nel film.
È una sensazione nell’aria, è un momento speciale, difficile spiegarlo.
La quasi totalità di intervistati si è emozionata e commossa, spesso mentre raccontava momenti felici. Quando, invece, accadeva che perdessero la lucidità raccontando qualche momento difficile, Goffredo ha sempre fermato tutto prima che anche solo un piccolo accenno di morbosità potesse rischiare di finire registrato.
Io e lui non ce lo siamo mai detti, non è mai stato deciso, ma è come se entrambi avessimo sempre saputo quale era il fondamento della nostra collaborazione: il rispetto per la professionalità dell’altro.
Io l’ho sempre lasciato totalmente libero nel suo elemento come lui mi ha sempre lasciato libero nel mio.
Perché quando ti fidi del professionista che hai accanto non puoi fare altro, con qualsiasi intervento rischi solo di rovinare tutto. Certo, ci si confronta, ma è stato lui a studiare, a prepararsi e a capire chi andava intervistato e cosa bisognava chiedergli.
Il cinema e il documentario sono un’arte collaborativa, uno sforzo collettivo che raggiunge il proprio obiettivo solo quando chi partecipa può esprimere al meglio le proprie qualità.
E l’hard disk che si riceve a fine lavorazione è solo l’ennesima conferma: le interviste hanno tutte un lungo filo rosso, hanno tutte un unico sguardo che si palesa quando si arriva al montaggio. Si comincia a metterle in fila, a tagliarle e come per magia i tasselli iniziano ad incastrarsi, tutto viene spontaneo e tutto va al suo posto perché sono stati disegnati bene.
Il montaggio
Abbiamo scelto di raccontare la vita di Fabio in ordine cronologico. Ho cominciato il montaggio da una lunga stesura solo audio. E man mano che procedevo, che le interviste si tagliavano, si incastravano, era come essere davanti ad un grande blocco di marmo dal quale naturalmente venivano fuori le forme principali.
Una volta avuta la visione complessiva dell’arco narrativo siamo andati verso una seconda stesura, in cui abbiamo iniziato a montare le immagini, tagliando le parti che rallentavano il ritmo e iniziando a provare le prime musiche.
È un processo lungo, in cui l’istinto gioca una parte fondamentale, ma è anche un percorso ricco di soddisfazioni in cui si assiste ad altre piccole magie, ci si emoziona e si cerca di restituire quello che si è provato sul set durante le interviste.
A volte ti alzi da una sessione e sai che il giorno dopo dovrai rimetterci mano perché ancora non va; altre volte, invece, torni a casa col sorriso perché un passaggio funziona benissimo e sai che hai tra le mani qualcosa di davvero speciale.
Con la testa pensi già a come si emozionerà il pubblico in sala.
Un altro grande privilegio di questo progetto è stato conoscere e lavorare con un professionista come Fabio Quagliarella.
Le riprese sono state di tanti tipi e non sono state didascaliche, lo scopo era avere immagini che raccontassero le atmosfere più che le circostanze.
La troupe era numerosa e le tecniche erano il meglio che si possa chiedere.
Le riprese sono state realizzate con due Alexa Mini, una operata da me, una operata da Roberto Minotti, direttore della fotografia, due assistenti ci seguivano per correggere la messa a fuoco e un fonico riprendeva il sonoro.
Le interviste sono state girate a 24 fotogrammi al secondo mentre le scene di finzione sono state catturate a 48 fotogrammi, per avere la possibilità di essere rallentate in montaggio.
Fabio Quagliarella ha sempre accettato le nostre proposte con entusiasmo e si è prestato a fare cose impensabili. In un mondo dove i calciatori sono letteralmente blindati, la sua disponibilità ad effettuare tutti quei giorni di riprese e a trovare il tempo all’interno del suo già proibitivo calendario di atleta, è stato talmente sorprendente che, delle volte quando la giornata finiva, mi chiedevo se fosse tutto un sogno.
Fabio ha accettato la nostra visione e dal momento in cui ci siamo stretti la mano si è fidato di noi.
Delle volte io e Goffredo ci siamo guardati negli occhi, e senza dircelo ci siamo resi conto dell’enorme responsabilità che questo mestiere ti dà:
raccontare la vita di una persona e restituire tutto quello che è stato in grado di darti senza tradire la fiducia che ha riposto in te e nella tua visione.
Fabio Quagliarella, the untold story (working title)
Director: Giuseppe Garau
Author: Goffredo d’Onofrio
Producer: SENT Entertainment
EP: Mirwan Suwarso
EP Italy: Luca De Angelis, 20 Red Lights
Producer: Arianna Dolini, 20 Red Lights
Production Coordinator: Daniela Belcastro, 20 Red Lights
Prod Inspector: Andrea Colzani
Prod Assistent: Antonio D’Amato
Prod Assistent: Gianluca Antonini
DOP: Roberto Minotti
Focus Puller Cam A: Marco Costantini
Focus Puller Cam B: Dimitri Rosi
DIT: Paolo Fiormarino
Videomaker: Giuseppe Laganella
Soundman: Marco Montano, Viviana Marin
Researcher: Luciano Cremona
PR Consultant: Pietro Pisano
Backstage: Sara Spallarossa, Ivano De Pinto, Federico Tardito
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