Media House | Introduzione

Il libro di Michele Bosco racconta la nascita e l’evoluzione di questo concetto nelle diverse accezioni. L’introduzione che ho scritto per il suo saggio prova a delineare i confini di questa evoluzione e immaginare cosa potrà succedere da qui in avanti

Goffredo d'Onofrio
5 min readNov 27, 2020

Ci sono vari modi per raccontare l’evoluzione della comunicazione aziendale. Ci sono vari modi per definirla. La sintesi più interessante è quella che riguarda tre sigle: B2B, B2C, B2H.

Business to Business (B2B), Business to Consumer (B2C) e Business to Human (B2H) rappresentano da tempo il cambio di paradigma, un vero e proprio sforzo che viene richiesto alle responsabili ed ai responsabili di tutte le aziende. In particolare l’ultimo passaggio — il B2H — si concretizza, di fatto, in un nuovo e partecipato rapporto tra brand e persone, in una nuova percezione che i brand contribuiscono a costruire in ognuno di noi.

Ed è per questo che, anche se produci motori per camion (ci torneremo), hai il dovere, quasi l’obbligo morale di perfezionare sempre il rapporto con l’H, con l’Human; di creare un identikit che sia sempre più veritiero, sempre più fedele alla realtà.

In un certo senso, chi si occupa di comunicazione aziendale, deve aver avuto una passione per “Indovina Chi”, il gioco in scatola degli anni ’80. Deve, uscendo dalla metafora, riuscire a ricostruire il percorso che porta all’identificazione della propria personas, di colei o colui che può essere interessato all’azienda, al prodotto, all’idea, al servizio.

Serve tempo per farlo.

Ed è proprio il tempo l’obiettivo finale. Conquistare quello dell’utente, fare in modo che venga attratto dal nostro messaggio, che (possibilmente) stia sulla nostra piattaforma, che consumi contenuti di qualità e che associ questo consumo, questa esperienza al nostro brand, diventando persino “creator”.

Un esempio: come può un motore di un camion rientrare nella strategia di comunicazione aziendale? Come è possibile passare dal B2B al B2H quando hai a che fare con un prodotto del genere? Sono domande comuni, comprensibili. La risposta sta nello sforzo, nella ricerca, nella voglia di sperimentare, avendo sempre in mente l’identikit di cui abbiamo già parlato.

FPT Industrial ha lanciato una campagna che sa di avanguardia: coinvolgendo il Premio Oscar Giorgio Moroder, ha creato la sound identity dei motori FPT Industrial e, attorno a questa composizione, un brano, una playlist e una serie di podcast su Spotify.

Avreste mai pensato di ascoltare qualcosa proveniente da un motore che non fosse un rombo? Avreste mai pensato un’associazione tra un camion e un Premio Oscar? “Preludio” e la sua playlist ha registrato più di 6 milioni di impressions su Spotify. E giù di commenti e scopiazzature varie. FPT Industrial non ha fatto altro che provare a rendersi universale attraverso i contenuti.

Questo mini caso-studio apre la porta al secondo dei tre punti che vanno sottolineati nell’evoluzione della comunicazione aziendale: i contenuti. In un’epoca storica in cui persino le notizie sono diventate merce (o “commodity”), non è difficile immaginare quanto sia complicato crearne di interessanti, informativi, divertenti o utili.

La seconda sfida da cogliere, dunque, è quella di creare valore anche attraverso i contenuti, associando il brand ad una narrazione che resta. Nel calcio, in Italia, ci sta provando con successo FC Internazionale, grazie all’Inter Media House, una vera e propria content factory che fa collaborare il Team Digital, il CRM, l’Archivio, l’Ufficio Stampa, la televisione lineare, il Marketing e svariate agenzie nazionali e internazionali.

Un altro esperimento, sempre nel mondo del calcio, è quello del Como. Nuova proprietà (la londinese SENT Entertainment), nuovo modo di intendere la comunicazione aziendale: a fine febbraio è nata Como TV, la prima OTT Club Media di una squadra di Serie C. La programmazione, varia, non riguarda soltanto gli undici in campo, ma racconta di una città — Como, appunto — in tutte le sue accezioni possibili: il life-style, che tanto piace all’estero; le personalità di spicco; i giovani, gli e-games, l’intrattenimento, anche in doppia lingua. Tutto in una piattaforma agile, mobile first e con contenuti data-driven.

Ecco emergere, allora l’ultimo punto, tra i più spinosi, da considerare: la piattaforma. L’esempio del Como ci dà l’assist per parlare di comunità, di persone e di dove trovarle. Non è novità tra gli addetti ai lavori, l’idea di proporre alle aziende di “lasciare” le principali piattaforme dei Social Media. Attenzione: qui le virgolette sono d’obbligo. Quando leggete di aziende che hanno “lasciato Facebook”, fatevi sempre le domanda: se non lì, dove?

Perché la piattaforma, da sola, non vale nulla. Valgono le persone, le conversazioni, le azioni, le conversioni. Vale il luogo in cui tutto questo si può sviluppare. L’ultimo spot di Facebook del Superbowl (quello con Rocky Balboa, alla faccia dell’innovazione!) sottolinea con forza proprio questo: non importa chi tu sia, su Facebook troverai sempre qualcuno che ha i tuoi stessi interessi.

“Lasciare Facebook” per un’azienda vuol dire avere una strategia che ha come fine ultimo quello di non farsi condizionare dai possibili cambi delle regole del gioco. Procediamo per paradosso: se domani mattina Facebook decide di premiare tutti i contenuti che sono legati in qualche modo con il colore rosso e il colore nero, cosa farebbe l’Inter? Per questo, sempre di più, si va verso la costruzione di piattaforme, forum, app, newsletter in cui sia l’azienda stessa la proprietaria.

Casa mia, regole mie, per farla breve.

Senza, però — e sarebbe impossibile — snobbare i principali social media che possono essere usati per campagne lead, accogliendo un’altra piccola rivoluzione, quella che riguarda gli utenti. Che non si accontentano più di essere passivi, ma vogliono partecipare, commentare, creare.

Trovare la chiave, il luogo e il modo per mettere insieme questi fattori (rapporto con utente, gestione piattaforma, analisi dei dati, creazione dei contenuti, dialogo con la comunità di riferimento, accoglienza degli user generator content) è la sfida che la comunicazione aziendale — a tutti i livelli — deve saper cogliere.

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